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Viola Melanzana

un modo spiritoso per parlare delle mie passioni,dei miei esperimenti, dei miei pasticci..un modo spiritoso per trasmettere quello che so, quello che osservo, quello che continuo ad imparare ogni giorno.
 

Vini della Campania

martedì, novembre 28, 2006

E' in uscita la guida ai vini della Campania a cura di Luciano Pignataro, affermato giornalista enogastronomico. Una guida, sponsor free, che avvalendosi di una schiera di attentissimi collaboratori, è una vera e propria enciclopedia del vino campano. Seicento pagine circa per presentare 240 aziende e 1500 etichette,e per essere al tempo stesso un romanzo pieno di emozioni e racconti, storie dei personaggi e dei vini, descrizione dei paesaggi e dei terroir, una indicazione assolutamente efficace per girare nelle cantine più belle. Un libro da leggere e da consultare: mai la Campania del vino è stata raccontata così a fondo e dettagliatamente. Dopo la presentazione generale, una introduzione per ogni provincia analizza le caratteristiche del mercato e l'attuale fase commerciale di Avellino, Napoli, Benevento, Caserta e Salerno, poi si passa alla descrizione e alla storia di tutte le docg, le doc e le igt presenti sul territorio. Seguono i dati aggiornati al 2005 e le schede aziendali di 240 cantine divise per province: informazioni utili, produzione, ettari, enologo, bottiglie prodotte, la storia, l'analisi di tutte le etichette commentate e analizzate.I vini più importanti sono descritti a più mani, alcune verticali storiche, come il Fiano di Vadiaperti, il Taurasi Macchia dei Goti di Caggiano, il Radici di Mastroberardino, il Montevertrano, il Fiano di Marsella, sono raccontate e fissate nella storia vitivinicola campana. Ogni azienda è stata visitata personalmente prima di entrare nella guida. Ancora l'appendice con i ristoranti più importanti, i wine bar, l'elenco ufficiale dell'Ais e di Assoenologi.
Infine le bottiglie dell'Arca: 142 etichette scelte per riporle nella cantina ideale del vino campano secondo il gusto e le suggestioni dell'autore.
Come dicevo prima, la guida è sponsor free, nessun contributo privato o pubblico, niente pubblicità dirette o indirette. L'autonomia di giudizio è garantita dall'investimento editoriale perché questo lavoro è stato pensato per i lettori e gli operatori del settore in una fase in cui la critica enologica sta subendo un profondo ripensamento.
Ogni scelta, ogni valutazione, ogni indicazione, è il frutto di una scelta consapevole dell'autore e dei giornalisti che hanno partecipato all'impresa. Il racconto appassionato della rivoluzione delle campagne meridionali attraverso la storia delle ultime quindici vendemmie all'ombra del Vesuvio che hanno cambiato il destino della viticoltura più antica e più moderna d'Italia.
Ha contribuito alla realizzazione della guida di Luciano Pignataro un pool di giornalisti specializzati : Francesco Aiello ha curato la Penisola Sorrentina, Pasquale Carlo la Valle Telesina, Ciro Cenatiempo Ischia, Salvatore De Napoli il Vesuvio, Paola Desiderio parte del Cilento e della Piana del Sele, Maristella Di Martino parte dell'Irpinia, arricchita dai reportage di Oreste Mottola e dai commenti ai vini di Fabio Cimmino e dalle verticali descritte da Gaetano Marrone.


In distribuzione a partire dal 30 novembre in tutte le librerie di Napoli e nei circuiti Feltrinelli, Guida e Fnac, in edicola nelle province di Avellino, Benevento e a Salerno città.Chi vuole acquistarla per spedizione può richiedere il volume scrivendo a info@edizionidellippogrifo.it o telefonando all'editore Franco Ciociano (347.0503455 e 081.5177000)

La nuova guida completa ai Vini di Luciano Pignataro
Edizioni dell'Ippogrifo 600 pagine, euro 23,8

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Illunis

domenica, novembre 12, 2006


Tempo fa avevo parlato di un appuntamento che legava jazz e vino. L'incontro tra queste due interessanti realtà si è tenuto a eboli, la mia mozzarellandia. Tutto ciò oltre ad avermi fatto venire la smania incompresa di dedicare, per qualche breve passaggio, alla musica il mio blog mi ha, più seriamente parlando, permesso di riascoltare Daniele Scannapieco e la sua, per l'occasione, "intima" jazz band e di assaggiare un vino a dir poco interessante: Illunis di Caputalbus. Un vino che definirei "stravagante", anche se usare questo termine per definire un vino sembra un po' azzardato, ma...forse si può usarlo stavolta stravagante perchè ha la "pretesa" e lo fa anche bene, di riportare in vita antiche tradizioni di vinificazione. Un aglianico in purezza, con la sua normale gradazione da aglianico, e il suo bel colore carico, e la sua limpidezza bla bla bla bla, e poi al naso qualche sentore particolare, sì ecco un po' d'amarena, ma uhm e c'è qualcosa di strano... e poi in bocca?...ops, ma sembra legno? Saranno mica i famosi trucioli????
Macchè, questo vino è fatto secondo un metodo che alla fine si rivela semplicissimo e cioè di recupero di un'antichissima tecnica del passato, quando un piccolissimo lotto di uve veniva letteralmente infornato in contenitori di terracotta per poi essere aggiunto, successivamente, al mosto destinato al vino. Una curiosa tradizione particolarmente diffusa a livello locale e oggi ripresa dal giovane della famiglia Capobianco, titolare dell'azienda in questione. La cantina Caputalbus si trova in provincia di Benevento, nella verdeggiante valle telesina e precisamente a Ponte località che trae il suo nome da un imponente ponte in pietra di epoca romana che costituiva il passaggio della via latina sul torrente Alenta e famosa per la storica abbazia longobarda di Sant'Anastasia. L'azienda nasce nel 2004 dedicandosi esclusivamente alle cultivar autoctone falanghina ed aglianico. Io consiglio vivamente di assaggiare questo vino qui, e in questo periodo di grande trambusto "trucioli sì trucioli no" questo vino che sa di antico, senza contraffazioni di alcun genere, ci sta proprio bene...

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Piccantine all’agro di limone con i Capperi

martedì, novembre 07, 2006

Beh devo dire che sì ci vuole sacrificio, ma con un po’ di buona volontà e l’aiuto di qualche ricettina gustosa si può rendere una monotona dieta un po’ più piccantina.
Inauguro con questa, una ( spero breve) rassegna di ricettine light, così.. per chi ultimamente ha problemi con la bilancia o semplicemente vuole mangiare meno e più sano!!!
Per il pranzo della domenica ho riadattato questa ricetta di Sale&Pepe utilizzando per il vitello gli ingredienti destinati ad un petto di pollo. Stavolta ho ripescato negli annali storici di codesta rivista gourmet qualcosa di meno datato, infatti, sono arrivata finalmente al 2002, anche se col mese ho sballato di grosso: maggio...
Ho diminuito i condimenti adattandoli alle mie parche possibilità giornaliere ed è andata bene!
Il condimento, come dicevo prima, era destinato ad arricchire delle belle fette di petto di pollo e la ricetta originale prevedeva 20 gr di burro al posto dei miseri due cucchiai di olio che ho usato io, ma ovviamente per me il burro in questo periodo è proibitivo (anche se… in rarissimi casi….)

Ingredienti per quattro persone

4 fettine di vitello magre (oppure 4 fettine di petto di pollo private del grasso)
2
limoni non trattati

40 gr di capperi sottosale
prezzemolo
farina
uno spicchio d’aglio

2 cucchiai di olio
sale e pepe

Sciacquare i capperi sotto l’acqua corrente per eliminare tutto il sale che li copre; farli riposare in una ciotolina con dell’acqua per almeno 10 minuti quindi scolarli e strizzarli.
Lavare le foglioline di prezzemolo, asciugarle per bene e tritarle insieme alla maggior parte dei capperi e alla scorza di un limone.
Passare le fette di carne nella farina e scuoterle per eliminare quella in eccesso. Versare l’olio in un tegame con lo spicchio d’aglio schiacciato ( per rendere il piatto più light evitare di far rosolare l’aglio ma aggiungervi subito un cucchiaio di brodo o acqua). Aggiungervi le fettine dopo qualche minuto e farle dorare da ambo i lati.
Irrorare la carne con il succo dei limoni filtrato, girare dopo circa un minuto, e cospargerle con il trito di capperi, prezzemolo e scorza di limone.
Eliminare l’aglio, salare, pepare e aggiungere i capperi rimasti per guarnire.
PS: se si vuole, le piccatine possono essere ancora più agre, basta farle marinare per mezz’ora col succo di limone prima di infarinarle e cuocerle: in questo modo diventano anche più tenere!

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Biscottini di noci allo zenzero

lunedì, novembre 06, 2006

Non so se il MeMe dei biscotti è giunto al termine, perchè ho l'adsl interrotta causa vento isterico che ha abbattuto magistralmente i cavi del telefono e quindi, non so se faccio ancora in tempo ad inserirmi nel bel gioco inventato da Cannella, MA, in ogni caso, sabato pomeriggio, sfogliando un sale&pepe dimenticato in cucina, sono capitata.... ma per caso eh...davanti a questi bei biscottini invitanti allo zenzero e noci.
La tentazione era grande, Cannella e il suo MeMe, novembre e il club di sale&pepe, e poi domenica.. Sì perché la domenica mi toccano dei biscottini a colazione, e mi sarebbe toccata anche della frutta secca e anche un dolcino…per cui ho fatto mente locale, ho messo un po’ tutto insieme e ho pensato che col vento di giovedì i miei due noci hanno distribuito i loro frutti per tutto il giardino, che tutta la raccolta dei giorni a seguire doveva essere in qualche modo premiata, che finalmente per il club del sale&pepe sarei stata in regola almeno con il mese (novembre sì era novembre ma… 1998!) e che magari li avrei regalati un po' in giro (macchè!!!) e che uffà facciamo sti biscotti e non se ne parli più!!!!

Ingredienti per 6 persone
100 gr di burro
150 gr di zucchero di canna( anche se la ricetta originale ne prevedeva 200, 100 per il composto e 100 per farcire)
un uovo

170 gr di farina
un cucchiaio di zenzero in polvere

100 gr di gherigli di noce
un pizzico di sale

Montare in una terrina il burro sciolto con 100 gr di zucchero di canna, aggiungere l’uovo, mescolare con cura e unire la farina setacciata, lo zenzero, il sale, i gherigli di noce tritati nel mixer.
Con le mani infarinate, formare con il composto tanti rotoli di 3 cm di diametro: avvolgere ogni rotolo in un foglio di carta da forno e farli riposare in frigo per almeno 4 ore.
Riscaldare il forno a 200 gradi. Versare lo zucchero rimasto sul piano di lavoro e passarvi i rotoli in modo che ne restino ricoperti. Tagliare i rotoli a fettine dello spessore di un dito e sistemare i dischetti così ottenuti sulla placca da forno inumidita.
Cuocere i biscotti in forno per circa 10 minuti, farli raffreddare prima di staccarli dalla placca e poi…papparseli!
PS: io ho usato lo zenzero macinato, ma ovviamente per rendere più profumati i biscottini è meglio usare un pezzetto di zenzero fresco grattugiato.

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Cortecce ai funghi porcini e tartufo

mercoledì, novembre 01, 2006

Ecco quello che ho mangiato con i tartufi acquistati a Colliano.
E' un modo semplicissimo per gustare funghi porcini e tartufo, da fare in pochissimo tempo, per i palati meno abituati al sapore di codesto tubero, ma che ne vogliono assaporare le virtù, un modo sicuramente poco elaborato per gustare il re del bosco.
Ingredienti per 4 persone:
350 gr di Cortecce (pasta fresca)
350 gr di funghi porcini
70 gr di tartufo grattugiato o a lamelle
2 cucchiai di panna liquida per cucina
uno spicchio d'aglio
olio e.v.o.
sale
grana grattugiato

Pulire il tartufo e tagliarlo a lamelle sottilissime. Scaldare in un tegame olio e aglio tritato. Far imbiondire e aggiungere le lamelle di tartufo. Far insaporire e aggiungere i funghi lavati e tagliati a pezzetti. Cuocere a fuoco medio, aggiungere un mestolino di acqua di cottura della pasta, che intanto avrete messo sul fuoco, se si asciugano troppo e continuare la cottura.
Salare a piacere e mescolare ogni tanto.
A cottura ultimata aggiungervi i due cucchiai di panna e mescolare per qualche minuto finchè non si è amalgamato il tutto.
Scolare la pasta e aggiungerla al sugo. Saltare per qualche minuto, spolverare col grana grattugiato e servire.

PS: questa ricettina ovviamente l'ho gustata in periodo di non dieta, ma per utilizzare il tartufo in versione light si può grattugiarlo in una frittatina.

2 uova
una spolverata di grana grattugiato
una manciata di tartufo a lamelline sottili
sale

Sbattere il composto, aggiungere il sale. Ungere una padellina antiaderente con un filino d'olio e mettere sul fuoco. Versarvi le uova, girare e mangiare.
Con questa piccola aggiunta si può gustare una frittatina light alquanto "gourmand"!!!

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Un po' sul Signor Tubero - ops Fungo ipogeo-




Il Tartufo...quale miracolo della natura fu più misterioso...
Il tartufo e' un frutto della terra conosciuto dai tempi piu' antichi. Si hanno testimonianze della sua presenza nella dieta del popolo dei sumeri ed al tempo del patriarca Giacobbe intorno al 1700 - 1600 a.C.
La sua origine si rivela un mistero permeato di aneddoti e credenze popolari. La scienza unita alle credenze popolari coprirono il tartufo di mistero a tal punto che non si sapeva definire se fosse una pianta o un animale.
Venne definito, per esempio un' escrescenza degenerativa del terreno, più in là addirittura cibo del diavolo e delle streghe. Si credeva che contenesse veleni che portavano alla morte.
Ma il rischio di avvelenamento non era collegato all'organismo tartufo in sè, ma al luogo in cui cresceva, quindi la possibile vicinanza nel terreno di nidi di serpenti, di tane di animali velenosi, ferri arruginiti e cadaveri.
Plutarco azzardò l'affermazione, alquanto originale, che il "Tubero" nasceva dall'azione combinata dell'acqua, del calore e dei fulmini....(per saperne di più sul re della Tavola si può consultare, infatti, questo sito ben fatto da cui ho preso un po' di notizie)
Tornando a noi si possono definire sette specie di tartufi:
il tartufo nero, il bianchetto, il tartufo estivo, il tartufo bianco, il tartufo nero invernale, il tartufo liscio, il tartufo di Bagnoli.
Le differenze fra il tartufo bianco e quello nero sono minime, in cucina le due specie vengono nettamente distinte secondo un principio essenziale:
il tartufo nero va consumato in quantità, quello bianco in pratica e' un aromatizzante, che trasmette ai cibi soprattutto un profumo, e va quindi impiegato in dosi minime.
Le altre differenze sono che il nero si consuma cotto, il bianco quasi esclusivamente crudo, affettandolo con l'apposito tagliatartufi direttamente sulla vivanda.I tartufi bianchi sono un "dono" quasi esclusivo di alcune regioni dell'Italia come il Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, anche il tartufo nero pregiato in queste regioni e' possibile trovarlo.
In Campania la maggiore produzione di tartufo (circa il 60%) proviene dai boschi dell'Irpinia (Avellino), specialmente nelle aree montane del Partenio e del Terminillo - Cervialto.
La provincia di Salerno, invece, ha una produzione del 30%, localizzata nei boschi di faggio, carpino, quercia dell'Alto Sele (Colliano, Valva, Laviano), nei Monti Picenti e nel Parco Naturale del Cilento. La restante produzione regionale viene raccolta nel Massiccio del Matese (Caserta) e nella catena montuosa del Taburno (Benevento ). Il tartufo più diffuso, tipico della Regione Campania, è il Tuber mesentericum Vitt. (denominato Tartufo di Bagnoli). In Irpinia ed in altre zone si raccolgono anche quantità interessanti di Scorzone, Uncinato e Bianchetto.

Apprezzato per l'aroma e per il caratteristico sapore come tutti gli alimenti il tartufo ha un valore nutrizionale, ma le componenti principali dei tartufi e cioe': proteine, grassi, carboidrati, acqua e ceneri, risultano quantitativamente simili ad altri funghi edibili e come tali l'alta percentuale di acqua contenuta fra il 75 e il 90% e la presenza di molecole non digeribili dall'uomo fanno si che il valore nutrizionale del tartufo non sia di primaria importanza anche con un notevole consumo di questo alimento (notevole sarebbe anche il costo).Quindi anche se l'elevato costo dei tartufi porterebbe il consumatore a credere in un pregevole valore nutrizionale dello stesso, anche se il tartufo ha delle proteine di buona qualita', questo prezioso alimento e' utilizzabile senza controindicazioni per ogni fascia di eta' e di peso.

La stagione della raccolta del tartufo coincide solitamente con la lenta transizione dall'autunno all'inverno.
Il cavatore, per avere successo nella sua ricerca, deve imparare a "leggere" l'ambiente nel quale si muove, capirlo e rispettarlo.
Ma una volta raccolto, come si conserva il pregiato Tubero?
Il tartufo nero o bianco si può conservare in diversi modi, si può utilizzare, per esempio, un contenitore a chiusura ermetica, in modo che il profumo non si disperda. Dopo aver disposto i tartufi nel contenitore, ricoprirli con cenere o riso che ne mantengano l'umidità costante e non li facciano né asciugare né marcire da recuperare solo al momento dell'uso.
Se si utilizza il riso per conservare i tartufi questo ovviamente ne assorbirà il profumo, quindi npotrebbe essere utilizzato per fare degli ottimi risotti.
Un altro modo di conservazione consigliato è l'utilizzo di contenitori di vimini. Avvolgendo uno a uno i tartufi in carta paglia umida ricordandosi di bagnare ogni giorno.
Con questo metodo bisogna consumare prima il tartufo perché il tempo di conservazione è più breve. Quando il tartufo comincia a perdere consistenza e si ammorbidisce bisogna consumarlo subito, perchè è al limite massimo di conservazione.

La pulizia del tartufo va fatta con uno spazzolino di durezza media e con un pennellino per eliminare la maggior parte della terra, quindi con un panno per togliere la rimanenza. I tartufi più pregiati si mangiano crudi, tagliati con il tagliatartufi al momento di servirli direttamente sulla pietanza. Qualità meno pregiate trovano un ottimo utilizzo come guarnizione o nella preparazione di salse. Vanno prima tagliati a pezzetti e messi a insaporire in padella con olio, aglio, acciuga e timo, quindi cosparsi direttamente sul piatto a brunoise o millepunti.

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